Privacy Shield

Il Private Shield, abbreviazione di EU-US Privacy Shield, in italiano Scudo UE – USA per la privacy, è un accordo stilato da Unione Europea e Stati Uniti al fine di definire un protocollo di sicurezza per i dati che transitano oltre Oceano e di creare un sistema tutelante a favore degli utenti e dei relativi dati personali.

La necessità di un accordo sulla privacy

Le premesse fondamentale per comprendere la necessità di un accordo sulla privacy tra UE e USA sono due:

1. La mole di dati: si stima infatti in oltre 7 trilioni di dollari il volume di affari che orbita attorno al traffico di dati tra USA e Unione Europea.
2. La differente prospettiva relativa al trattamento dei dati tra Stati Uniti e UE: i primi, infatti, trattano i dati personali come una risorsa economica che, in quanto tale, può essere considerata alla stregua di merce commerciale; secondo gli standard europei, invece, la privacy è da considerare un diritto inalienabile dell’individuo.

Dunque, per appianare le divergenze e creare un protocollo che soddisfi sia l’approccio statunitense che quello comunitario, è diventato imprescindibile il raggiungimento di un accordo fra le parti. Accordo che si accinge a diventare operativo.

L’ordine esecutivo del 7 ottobre

Il Privacy Shield è stato preceduto, nei primi anni 2000, da un accordo simile, ovvero il Safe Harbor, che dimostrò però la sua inefficacia a seguito dello scandalo Snowden: il nome è riferito a Edward Snowden, l’informatico che scoprì e rese pubblici migliaia di documenti in possesso della CIA e che dimostravano come gli Stati Uniti usassero i dati europei con finalità e modalità che violavano i termini dell’accordo.

Nel 2016 venne varata la prima versione del Privacy Shield, che in realtà si presentava identico al Safe Harbor, ma, in aggiunta, chiariva che il Governo degli Stati Uniti avrebbe potuto utilizzare i dati dei cittadini europei solo per finalità di sicurezza nazionale e di lotta al terrorismo. Anche questo accordo, però, si rivelò inefficace poiché lasciava un margine discrezionale troppo largo e soggetto a interpretazione, venne così dichiarato non valido dalla Commissione Europea nel 2020.

Il percorso del Privacy Shield

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Se un contenuto di scarsa qualità è responsabile di un mancato miglioramento del posizionamento organico, con i testi duplicati da altre piattaforme i rischi sono ancora maggiori in quanto, con ogni probabilità, il sito autore del plagio viene penalizzato da Google, ovvero retrocesso o completamente eliminato dalle SERP di proprio interesse: un rischio che non vale assolutamente la pena di correre.

Privacy Shield: l’ultimo capitolo (?)

Ecco perché l’accordo firmato da Biden e dalla sua amministrazione lo scorso 7 ottobre dovrà aprire una nuova fase nei rapporti tra USA e UE in merito alla gestione della privacy dei cittadini europei: ma cosa cambierà esattamente?

 

Al momento, sembra impossibile rispondere a questa domanda. Ciò che sappiamo con certezza è che l’accordo è frutto di un’intesa fra Commissione Europea e Governo degli Stati Uniti e che risulta fondamentale per continuare a garantire una gestione ottimale dei rapporti – non solo commerciali – fra i due colossi coinvolti.

 

Filtra tuttavia scetticismo, in quanto la visione diametralmente opposta di USA e UE nella gestione dei dati sembra difficilmente superabile attraverso un patto, seppur sancito ufficialmente e approvato in maniera bipartisan.

 

D’altra parte, occorre specificare che l’interscambio di dati non rappresenta solo una risorsa commerciale, bensì un inestimabile fattore di crescita per le PMI americane ed europee (che nel 2019 rappresentavano il 70% delle imprese aderenti all’accordo), in quanto permette di monitorare i processi produttivi, la forza-lavoro e le forniture di materiali e strumenti necessari.

 

Il nuovo Privacy Shield sarà sufficiente a conseguire il superamento delle divergenze operative ed etiche in merito alla gestione dei dati personali tra USA e UE? Al momento è troppo presto per dirlo.

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